(Omotransfobia) Pregiuziali di Incostituzionalità della legge


Seduta n. 476 di lunedì 23 maggio 2011

PROPOSTA DI LEGGE: SORO ED ALTRI: NORME PER LA TUTELA DELLE VITTIME DI REATI PER MOTIVI DI OMOFOBIA E TRANSFOBIA (A.C. 2802-A)A.C. 2802-A – Questioni pregiudiziali, scarica qui il pdf!

 

QUESTIONI PREGIUDIZIALI DI COSTITUZIONALITÀ

La Camera, premesso che:

la proposta di legge n. 2802 recante «Norme per la tutela delle vittime di reati per motivi di omofobia e transfobia» presenta profili di violazione della Carta costituzionale ed in particolare:

1) violazione dell’articolo 3 della Costituzione. L’inserimento tra le circostanze aggravanti comuni previste dall’articolo 61 del codice penale della circostanza di aver commesso il fatto per motivi di «omofobia e transfobia, intesi come odio e discriminazione in ragione dell’orientamento sessuale di una persona verso persone del suo stesso sesso, persone del sesso opposto, persone di entrambi i sessi» viola il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione con riferimento al canone della ragionevolezza. Ciò in quanto:

si tratta di una situazione che già trova nel citato articolo 61 del codice penale idonea collocazione. Il primo comma di tale stesso articolo, al numero 1, consente di contestare l’aggravante per «avere agito per motivi abbietti o futili»; pertanto quando siano commessi reati a danno di persone per scelte legate alla propria sfera personale e, nello specifico, alla vita sessuale, le vittime sono tutelate dal numero 1 del primo comma dell’articolo 61 del codice penale ed è irragionevole introdurre ulteriori fattispecie;

si potrebbe poi delineare anche una violazione del principio di uguaglianza in quanto l’aver agito per motivi di «omofobia e transfobia» prefigurerebbe una situazione normativamente differenziata rispetto ad altre situazioni analogamente meritevoli di tutela, in cui si commettono delitti contro la persona in ragione dello stato in cui versa (ad esempio, un barbone o un anziano, in quanto tali);

2) violazione dell’articolo 25 della Costituzione. La norma si pone in contrasto con l’articolo 25 della Costituzione in quanto viola il principio di tassatività della fattispecie penale. A tal fine si evidenzia come gli elementi costitutivi della fattispecie che si vuole introdurre, ovvero l’aver agito per motivi di «omofobia e transfobia, intesi come odio e discriminazione in ragione dell’orientamento sessuale di una persona verso persone del suo stesso sesso, persone del sesso opposto, persone di entrambi i sessi» siano estremamente generici e possano ricomprendere situazioni ampie e indeterminate;

per comprendere appieno questa censura di incostituzionalità si osserva come ad oggi, con riferimento alle particolari condizioni delle persone offese, sono previste nell’ordinamento aggravanti per fatti commessi contro pubblici ufficiali, persone incaricate di pubblico servizio, persone rivestite della qualità di ministro del culto cattolico o di un culto ammesso nello Stato, ovvero agenti diplomatici o consolari di uno Stato estero nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio. Orbene, è di tutta evidenza che, a differenza della disposizione in esame, nei casi citati si tratta sempre di posizioni oggettive: la particolare qualità della persona offesa giustifica ictu oculi un aggravio di tutela, in relazione alla particolarità delle funzioni svolte. Anche nelle ipotesi, pur presenti nell’ordinamento e derivanti dall’adempimento di obblighi internazionali, di aggravanti che si applicano quando il fatto è commesso per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, si fa sempre riferimento a circostanze oggettive circa le condizioni della persona offesa. Tutto ciò manca nella disposizione all’esame, che presenta una formulazione fondata su situazioni e scelte soggettive attinenti alla sfera individuale potenzialmente mutevoli nel tempo e non sempre di agevole verifica,

delibera

di non procedere all’esame dell’A.C. n. 2802-A.

n. 1. Buttiglione, Capitanio Santolini, Binetti.

 

La Camera, premesso che:

l’Atto Camera n. 2802, a prima firma dell’on. Soro, recante «Norme per la tutela delle vittime dei reati per motivi di omofobia e transfobia», all’articolo 1 introduce nell’articolo 61 del codice penale una nuova aggravante (numero 11-quater), che ricorre quando l’autore del delitto ha commesso il fatto per motivi di omofobia e transfobia, che vengono così qualificati: motivi di odio e discriminazione in ragione dell’orientamento sessuale della vittima del reato verso persone dello stesso sesso, verso persone del sesso opposto o verso persone di entrambi i sessi;

con la specificazione relativa al concetto di orientamento sessuale, i proponenti intendono in particolare superare le obiezioni che erano state mosse in sede di esame delle proposte sull’orientamento sessuale, relative al mancato rispetto del principio costituzionale di determinatezza della fattispecie penale. A tal proposito si rammenta, infatti, che nell’ottobre 2009 la Commissione Giustizia approvò un testo unificato delle proposte di legge A.C. n. 1658 e A.C. n. 1882, volto ad introdurre nel codice penale una nuova circostanza aggravante da applicare ove alcuni determinati reati contro la persona fossero stati commessi in ragione dell’orientamento sessuale della vittima del reato stesso; il testo licenziato dalla Commissione Giustizia venne però respinto dall’Assemblea nella seduta del 13 ottobre 2009, a seguito dell’approvazione di una questione pregiudiziale presentata dal gruppo dell’UDC (Vietti ed altri n. 1) per motivi di costituzionalità. In particolare, si evidenziava, da un lato, la violazione dell’articolo 3 della Costituzione, che sancisce il principio di uguaglianza, posto che chi subisce violenza, presumibilmente per ragioni di orientamento sessuale, riceverebbe una protezione privilegiata rispetto a chi subisce violenza tout court; dall’altro, l’indeterminatezza dell’espressione «orientamento sessuale» per violazione del principio di tassatività delle fattispecie penali di cui all’articolo 25 della Costituzione;

il punto di partenza nell’esame del testo all’attenzione dell’Aula non può che essere costituito, ovviamente, dall’inaccettabilità di qualsiasi condotta offensiva motivata dai modi in cui la vittima viva la sua sessualità; ciò premesso, è necessario valutare se l’introduzione dell’ipotizzata aggravante riferita a condotte già di per sé costituenti reato, rappresenti una modalità coerente dell’intervento penale, o crei invece differenze di trattamento non ragionevolmente motivabili, e pertanto in contrasto con gli articoli 3 e 13 della Costituzione, nonché incongruenze idonee a compromettere, anche dal punto di vista preventivo, l’impianto sistematico del diritto penale;

in merito all’aggravante in esame, si riscontra una palese disparità dell’intervento penale, che attraverso di essa si introdurrebbe, con riguardo ad altre possibili motivazioni caratterizzanti i reati di cui si discute: motivazioni che possono avere medesima o anche superiore gravità sostanziale, senza che ad esse si ricolleghi l’applicazione di alcuna aggravante specifica. Si pensi solo ai reati commessi in ragioni delle condizioni di handicap o di malattia della parte offesa, o della sua età anziana, o di un contesto di prevaricazione e assoggettamento: situazioni in cui sussiste, tra l’altro, una debolezza intrinseca (una particolare vulnerabilità) della vittima. Ma si pensi anche a reati commessi in ragione delle opinioni politiche della vittima, o dell’avere la medesima collaborato con la giustizia, o della professione che svolge, e così via. Non si comprende tra l’altro perché dovrebbe risultare meno grave un atto offensivo eventualmente motivato dallo stile di vita eterosessuale del soggetto passivo;

emerge dunque una palese violazione del principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione, anche alla luce della giurisprudenza delle Corti europee, relativa ai principi di non discriminazione e di ragionevolezza-non contraddittorietà, espressi nelle convenzioni e nelle direttive (tra cui la direttiva 2000/78/CE);

d’altra parte, lo stesso articolo 61 del codice penale poi, che la proposta di legge in esame intende novellare, offre già lo strumento per una maggiore punibilità in presenza di motivazioni del reato commesso che assumono un disvalore particolare: si tratta dell’aggravante generale per «motivi abbietti o futili» di cui all’articolo 61, numero 1), del codice penale. Tale aggravante è infatti riferibile anche ai casi cui si vorrebbe applicare la nuova aggravante proposta, la cui presenza creerebbe, conseguentemente, una sovrapposizione che non ha ragion d’essere. Tale circostanza, infatti, comprende agevolmente le situazioni in cui la condotta è realizzata allo scopo di offendere, a causa dell’orientamento sessuale, la dignità di ogni persona, come insegna anche una consolidata giurisprudenza in merito. Né si può trascurare che potrebbero altresì risultare applicabili, sussistendone i presupposti, le stesse aggravanti di cui all’articolo 61, numeri 4) e 5), del codice penale;

deve inoltre considerarsi che l’aggravante ipotizzata all’interno dell’A.C. n. 2802 si presta assai facilmente a ricostruzioni presuntive, avendo per oggetto moventi interiori il cui accertamento obiettivo appare oltremodo difficoltoso. In pratica, con la loro introduzione si finirebbe per presumere l’aver agito «per motivi di omofobia e transfobia» ogni volta che la condotta illecita abbia interessato, comunque, soggetti di cui siano note l’omosessualità o la transessualità, introducendo una vera e propria inversione dell’onere probatorio;

con l’aggravante proposta, la risposta sanzionatoria verrebbe dunque allargata nei confronti di medesimi reati, sulla base dei moventi più intimi. Estendere l’ambito della punibilità ad elementi di natura interiore quali sono le finalità perseguite espone ad una eccessiva discrezionalità: il giudice potrà «presumere» i motivi dell’agire – con inversione dell’onere della prova – rispetto a tutte le condotte illecite che interessino soggetti di cui siano noti specifici stili di vita in materia sessuale. Dunque, la previsione di aggravanti di questo tipo è rischiosa per la libertà dei cittadini, poiché impone uno scandaglio approfondito dei moventi intimi, talora inconsci, che stanno alla base delle azioni umane. Molti delitti sono espressione di «odio» contro la persona – si pensi tra tutti all’omicidio, che spesso trova la sua origine in tale movente – ma tale movente non è previsto in alcun ordinamento come elemento «aggravante» del fatto. L’estensione delle norme della «legge Mancino» alle discriminazioni per motivi di orientamento sessuale segnerebbe la tracimazione dal «diritto penale del fatto» ad un inaccettabile «diritto penale dell’atteggiamento interiore»: da una sanzione che segue un comportamento concreto a una sanzione con aggravante che segue un dato intimistico;

ancora, per risultare applicabile, l’aggravante proposta esige l’effettiva sussistenza dell’omosessualità o della transessualità della persona offesa. Il che viene inevitabilmente a far sì che la condizione sessuale di un dato individuo divenga oggetto, in modo diretto o indiretto, di accertamento giudiziario: conseguenza estremamente pericolosa per un ordinamento laico e liberale. D’altra parte, non si potrebbe di certo ritenersi sufficiente ai fini penali il fumus sociale dell’esistenza di una condizione di omosessualità o transessualità, oppure la semplice ammissione o non ammissione del suo sussistere operata dalla vittima;

l’aggravante proposta violerebbe infine, per la sua genericità ed indeterminatezza, il principio di legalità e di tassatività del precetto penale, di cui all’articolo 25, secondo comma, della Costituzione: nonostante la versione della norma proposta dall’A.C. n. 2802 abbia tentato di superare il medesimo rilievo, mosso al testo precedente dalla pregiudiziale approvata lo scorso ottobre 2009 (specificando, come detto, il concetto di orientamento sessuale), l’oggetto evocato dalla norma resta privo di una precisione descrittiva tale da delimitare con chiarezza l’ambito dell’intervento punitivo; ha contorni imprecisi, tali da far applicare la norma in situazioni tra loro molto diverse;

sono differenti dunque le questioni che impediscono al testo in esame di essere conforme ai principi costituzionali,

delibera

di non procedere all’esame dell’A.C. n. 2802-A.

n. 2. Bertolini, Saltamartini, Stracquadanio, Pagano.

 

La Camera, premesso che:

il testo della proposta di legge, recante l’introduzione di norme per la tutela delle vittime di reati per motivi di omofobia e transfobia, presenta profili di violazione della Costituzione;

la disposizione dell’articolo 1 viola il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della ragionevolezza della discriminazione introdotta dalla nuova circostanza aggravante, consistente nell’avere, nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la personalità individuale, contro la libertà personale e contro la libertà morale, commesso il fatto per motivi di omofobia e transfobia, intesi come odio e discriminazione in ragione dell’orientamento sessuale di una persona verso persone del suo stesso sesso, persone del sesso opposto, persone di entrambi i sessi;

appare evidente che la circostanza aggravante così configurata, offre una protezione privilegiata alla persona offesa in ragione del proprio orientamento sessuale ed in particolare discrimina fra chi subisce forme di violenza, perché vi è una tutela rafforzata del motivo sottostante l’azione (l’odio che si viene a definire come omofobia o transfobia), rispetto invece a chi subisce altre forme di violenza. In tal modo si introdurrebbe quindi un trattamento diverso nel sanzionare delitti non colposi senza alcuna ragionevole giustificazione, né nella logica del maggior danno, né del maggior pericolo per il bene giuridico tutelato dalla norma penale, secondo la giurisprudenza costante della Corte costituzionale (da ultimo la sentenza n. 249 del 2010);

la norma che configura la citata aggravante presenta caratteri di indeterminatezza tali da porsi in contrasto con l’articolo 25 della Costituzione: nella delicata indagine circa la ricorrenza dei motivi di omofobia o transfobia che determinerebbero l’aggravamento della pena si fa riferimento a «motivazioni di odio e discriminazione in ragione dell’orientamento sessuale»: in assenza di una nozione di orientamento sessuale, la circostanza aggravante, nella parte in cui dà rilevanza all’orientamento sessuale, viola il principio di tassatività della fattispecie penale. L’indeterminatezza concettuale dell’espressione di orientamento sessuale, per la genericità del disposto normativo, non consente di individuare le fattispecie meritorie di una particolare tutela e contrasta con elementari principi costituzionali che impongono la prevedibilità delle conseguenze delle proprie condotte, in particolar modo di quelle penalmente rilevanti (si veda per tutte la sentenza n. 370 del 1996);

l’eventuale tentativo di definire, in maggior dettaglio, le motivazioni in presenza delle quali ricorrerebbe l’aggravante in oggetto sortisce l’effetto opposto, ossia quello di accrescere a tal punto l’ampiezza della fattispecie da rendere estremamente discrezionale l’apprezzamento del giudice sulle intenzioni dell’autore del reato e sugli orientamenti personali della persona offesa;

sul punto occorre ricordare che le aggravanti previste dal nostro sistema penale che fanno in qualche modo riferimento ad una posizione soggettiva della persona offesa si fondano su caratteristiche oggettive che rimandano o all’età della persona offesa, o alla condizione di disabilità, o alla qualità di pubblico ufficiale o di persona incaricata di pubblico servizio o di persona rivestita della qualità di ministro del culto cattolico o di un culto ammesso nello Stato, ovvero di agente diplomatico o consolare di uno Stato estero, nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio. La disposizione in esame, poiché non si basa sul presupposto di condizioni oggettive, difetta dei caratteri di tassatività e di determinatezza imposti dall’articolo 25 della Costituzione, così configurando una condizione di minorità della persona offesa, non fondata su presupposti costituzionalmente rilevanti ed anzi in contrasto con il principio di pari dignità sociale di tutti i cittadini, affermato all’articolo 3 della Costituzione,

delibera

di non procedere all’esame dell’A.C. n. 2802-A.

n. 3. Lussana, Nicola Molteni, Isidori, Paolini, Follegot, Vanalli, Luciano Dussin, Pastore, Volpi, Bragantini, Polledri.

 

QUESTIONE SOSPENSIVA

La Camera, premesso che:

la proposta di legge n. 2802, recante norme per la tutela delle vittime di reati per motivi di omofobia e transfobia, giunge all’esame dell’Aula con il parere contrario della Commissione Giustizia;

tale parere è il risultato di un esame in Commissione particolarmente articolato e complesso. Il 18 maggio, infatti, la Commissione Giustizia ha bocciato il testo unificato sull’omofobia elaborato dalla relatrice, on. Concia, con il quale si intendeva modificare il codice penale, introducendovi delle circostanze aggravanti per determinati reati qualora questi fossero stati commessi in ragione della omosessualità o transessualità della persona offesa. Alla luce di tale bocciatura è stata, dunque, richiesta la revoca dell’abbinamento della proposta di legge C. 2807 Di Pietro, per consentire di proseguire l’esame della sola proposta di legge C. 2802 Soro. Il 19 maggio le proposte emendative presentate dalla relatrice al testo sono state però bocciate dalla Commissione. La relatrice ha dunque rinunciato al suo incarico, sostituita da un nuovo relatore con mandato a riferire negativamente sul provvedimento in Aula;

il complesso iter del provvedimento è la conseguenza evidente di diversi aspetti, anche di carattere costituzionale, particolarmente delicati che non sono stati ancora risolti. In primo luogo esiste il rischio che così come proposta l’aggravante ai reati di violenza, determinata in base all’orientamento sessuale delle vittime, possa introdurre un pericoloso e paradossale elemento pregiudiziale nei confronti di chi omosessuale non è. Non solo, il nostro ordinamento punisce senza distinzioni ogni aggressione alla integrità della persona e alla sua sfera morale; con l’inserimento dell’aggravante in questione la risposta sanzionatoria potrebbe, invece, essere allargata sulla base dei moventi più intimi: il giudice potrebbe dunque essere chiamato a presumere i motivi dell’agire – con inversione dell’onere della prova – rispetto a tutte le condotte illecite che interessino soggetti di cui siano noti specifici stili di vita in materia sessuale. Il diritto penale del fatto rischierebbe in questo modo di sconfinare in un non definito diritto penale dell’atteggiamento interiore, determinando una seria disarmonia dell’ordinamento;

va inoltre ricordato che la Camera dei deputati, nella seduta del 13 ottobre del 2009, era stata chiamata a votare una questione pregiudiziale di costituzionalità su una proposta di legge di medesimo profilo e contenuto rispetto a quella attualmente all’attenzione dell’Assemblea. In quel caso la Camera votò a favore della questione pregiudiziale presentata, riconoscendo i diversi profili di dubbia costituzionalità del testo proposto;

nonostante tale pronuncia, con minime modifiche, in Commissione Giustizia è stata nuovamente incardinata e calendarizzata la discussione su progetti di legge sul medesimo argomento; considerata la particolare delicatezza della materia trattata,

delibera

che la discussione dell’A.C. n. 2802-A sia sospesa fino alla definizione di una proposta normativa complessiva e coerente con il dettato costituzionale, evitando la distinzione tra tutti gli eventuali possibili fenomeni discriminanti al fine di non limitare l’intervento normativo esclusivamente ad alcuni di questi fenomeni.

n. 1. Bertolini, Saltamartini, Stracquadanio, Pagano.

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