(REPUBBLICA di Torino) “Io e mio zio Harvey Le nostre battaglie per gli omosessuali”


«Un ricordo di mio zio Harvey? Mi portò alla première di “Jesus Christ Superstar”, quello di Broadway del ´72. Avevo undici anni. Mi chiese,al termine: Stuart, chi vuoi incontrare? Gesù oppure Maria? Io risposi: Re Erode (che nello show era vestito da drag queen, ndr). Luibmi guardò interdetto e pensò, come mi rivelò anni dopo: ci risiamo, anche mio nipote…». Un aneddoto raccontato chissà quante volte, in giro per il mondo, a chi come noi gli chiede di parlare di Harvey Milk, suo zio, attivista del movimento per i diritti degli omosessuali diventato icona e martire delle libertà. Un personaggio al quale Gus Van Sant ha dedicato un film di culto, “Milk”, che è valso l´Oscar a Sean Penn. Stuart Milk, impegnato in un tour italiano promosso da Equality, ieri era a Torino, ospite del festival “Da Sodoma a Hollywood” dove ha introdotto un documentario sulla rivolta di Stonewall. Nell´occasione ha ricevuto la medaglia della città di Torino e ha a sua volta consegnato a Chiamparino una medaglia della città di San Francisco e una targa della fondazione Milk di cui è presidente.

Mister Milk, che famiglia era la sua?

«Una piccola famiglia ebrea, due fratelli con poco in comune. Io ho sempre avuto più feeling con mio zio, capace di grande profondità, introspezione, attento alle cose importanti della vita. A lui ho fatto le mie confidenze più intime».

Quanti anni aveva quando è stato ucciso?

«Diciassette. E´ stato devastante. Ma ha provocato due effetti opposti. Da una parte mi sono ritrovato solo, dall´altra ho guadagnato una nuova famiglia: la comunità. Dalla morte di Harvey molti hanno trovato il coraggio di fare coming out. Lo aveva lasciato detto: se una pallottola dovesse entrarmi nel cervello, possa essa infrangere le porte di repressione dietro le quali si nascondono i gay nel paese».

Sapeva che sarebbe stato ucciso?

«Sì. Riceveva continuamente minacce. Predicava i diritti degli omosessuali in tempi in cui essere gay era considerata una malattia mentale. Era ben consapevole di essere condannato».

Ha fatto da consulente per il film “Milk”?

«No, non conoscevo né Gus Van Sant né Sean Penn. Ora siamo grandi amici. Il film è molto bello e l´interpretazione straordinaria. Quando lo vidi regalai a Sean una lettera privata che avevo ricevuto da mio zio. Lui la notte degli Academy Awards la tenne con sé come un portafortuna. Poi vinse e l´Oscar contribuendo a far conoscere a milioni di spettatori in tutto il mondo le battaglie per i diritti degli omosessuali».

Che rapporti ha con Barack Obama?

«Vado spesso alla Casa Bianca. Come prima azione per il movimento Obama ha fatto assegnare la “medal of freedom” alla memoria di Harvey Milk, primo presidente americano a riconoscerne le battaglie. Un gesto che ha dato speranza a tutti. Speranza senza vergogna e senza paura».

Qui invece il premier Berlusconi dice: “Meglio guardare le belle ragazze che essere gay”…

«Certo, la frase non è felice. Però scatena polemiche. Se ne parla. E senza volerlo, indirettamente, ci aiuta».

(di CLARA CAROLI)

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